Di "orrori" ortografici
Glossario non esauriente dei più diffusi errori ortografici
DI ERRORI E D'ORRORI
Capita a tutti di commettere un errore, sulla scia di influssi popolari o dialettali, dimenticanze, regole ignorate o cadute in un oblio da “i tempi della scuola sono lontani” e così via.
Ma se, all’orale, o in una conversazione whatsapp tra amici, l’errore ortografico può far sorridere, in un testo scritto, che sia un articolo di blog, o peggio di giornale, una mail di lavoro o una circolare amministrativa, il sorriso si trasforma in fastidio, se non in dubbi sull’effettiva preparazione dell’interlocutore che ha commesso l’errore.
Se la lista degli errori è potenzialmente infinita, mi limiterò a fissare qui i più diffusi.
In fondo e non infondo: non funziona come per “infine/ in fine”, “nonostante/non ostante”, “apposta/a posta”; “in fondo” è la locuzione avverbiale che significa “in fin dei conti”, “dopo tutto”; infondo è invece la prima persona singolare del presente indicativo di infondere, cioè “versare dentro, immettere”. Eppure quante volte troviamo scritto “infondo” come fosse un avverbio?
A posto e non apposto: anche qui, sull’onda del parlato, in cui le due parole sembrano non farne che una, sempre più spesso ci si imbatte, anche in testi di insospettabili, in “apposto”, che è invece soltanto la prima persona singolare del presente di appostare.
A fianco e non affianco: ancora un esempio di povero verbo maltrattato e usato come avverbio. Affianco NON è sinonimo di a fianco.
A volte e non avvolte: la forma in due parole è sinonimo di talvolta, mentre “avvolte” è il femminile plurale del participio passato di avvolgere. Le caramelle sono avvolte in involucri colorati, a volte capita di mangiare caramelle.
Incinta e non in cinta: se la prima volta che lo lessi ne rimasi stupita, mi sono dovuta col tempo arrendere alla consapevolezza che “in cinta” è un errore assai diffuso. Ribadiamo quindi che una donna incinta aspetta un bambino, una donna in cinta non significa nulla. Pare che l’espressione “in cinta” si usi in araldica, per indicare figure o simboli disposte lungo i bordi di uno stemma. Nulla a che vedere con embrioni e pance.
Una L che soppianta la R: celebrale, pultroppo. Quanto spesso sentiamo o leggiamo questi errori? Troppo, di sicuro. Nella lingua italiana esistono “cerebrale”, aggettivo che significa “attinente al cervello”, e “purtroppo” (sfortunatamente). Le forme con la L non esistono.
Una al prezzo di due: accellerare è sbagliato, senza se e senza ma, il verbo richiede una sola l: “accelerare”.
Due al prezzo di una: sopratutto è sbagliato, l’avverbio corretto è “soprattutto”.
L’apostrofo: po’, troncamento di “poco”, esige l’apostrofo. Senza apostrofo c’è solo il fiume Po, che richiede la maiuscola. Qual è, invece, non vuole l’apostrofo. Ricordiamo anche (dovrebbe essere superfluo, ma purtroppo non lo è) che l’articolo indeterminativo maschile singolare, un si scrive senza apostrofo, prerogativa invece del femminile, un’, elisione di “una”: dunque “un amico” e “un’amica”. Senza eccezioni.
C’entra e non centra: sempre a proposito di apostrofi, il verbo usato nell’espressione “io non c’entro”, questa cosa non mi riguarda, sono estraneo ai fatti, è “entrarci”, non “centrare”. “Io non centro il bersaglio”, invece significa che la mia mira è scarsa.
Gli accenti: anche se l’italiano è una lingua in cui gli accenti si usano relativamente poco, usarli bene è fondamentale. Il verbo essere, richiede l’accento grave: è. La congiunzione negativa né, invece, richiede quello acuto, così come perché, poiché, affinché. Eppure, quante congiunzioni e troviamo usate a sproposito come verbo, o addirittura la fantasiosa forma apostrofata E’ (“tutta colpa della tastiera” non è una scusa accettabile).
Andare al lavoro e non a lavoro: un altro errore che ho scoperto da poco ma pare assai diffuso, dovuto all’influenza di parlate regionali. La preposizione corretta dopo il verbo andare è quella articolata: si va al lavoro, alla spiaggia, al mare. Frequentando ormai da parecchio il mondo della scrittura creativa, posso testimoniare che anche diversi proclamati o autoproclamati autori incappano nel suddetto errore. E non è un bel biglietto da visita.
Chiudo qui questo glossario non esauriente, senza escludere la possibilità di arricchirlo ulteriormente più in là.
La cosa importante, sia chiaro, non è tanto non fare errori, può capitare a chiunque di sbagliare, o di scoprire con sgomento che una parola che da sempre credevamo corretta non lo era; ciò che conta è rileggersi sempre con attenzione, e verificare con un buon dizionario ogni dubbio, anche quello più banale.
Oppure, tiro l’acqua al mio mulino, farsi correggere da chi lo fa di mestiere.
Se non, addirittura, commissionare la stesura del testo.
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